Nonostante
la mia giovane età, ho appreso fin da subito, che la vita può essere
paragonata, e allo stesso tempo vissuta, come un “pozzo senza fondo” in cui,
oltre a gettarci le monetine per vani sogni, depositare esperienze, emozioni,
rancori, nostalgie, amori persi, amicizie svanite e tutte quelle componenti la
cui sommatoria è l’essenza della vita stessa.
Nel
mio “pozzo” rimarrà sempre posto per uno degli artisti più eclettici e
destabilizzanti del panorama musicale italiano.
Questo
essere, che va sotto il nome di Vinicio Capossela, è il mio cantante
“confidenziale” a cui si pensa nei momenti peggiori della vita quando, ad
esempio, mi ritrovo sulla strada polverosa, rossa e disseccata delle terre
d’Otranto, in una vecchia Panda senza fanali dietro, a parlare con il
mio vecchio amico di come è andata male la mia ultima storia d’amore. Il
cantante “confidenziale” che viene in aiuto sia nei momenti di malinconia e
in quelli, come dire di “Furore”. Poco e male si sa effettivamente di questo
uomo, il mio obbiettivo è quello di raccontarvi la mia esperienza personale e i
sottili passaggi che fanno delle sue canzoni uniche nel loro genere senza fare
accostamenti suntuosi e fuori luogo.
Tutto
nacque nell’estate del 2001 quando il caldo e la stanchezza ci portava
inevitabilmente a stagnare i nostri corpi nel bar del paese, quello che
generalmente si trova in centro, davanti alla piazza della Chiesa, aperto con lo
scopo di riempirsi generalmente dopo i match domenicali che avvengono tra Dio e
i suoi discepoli. Per quanto fosse in centro, non tutti riuscivano, come noi, a
passarci per lo meno due o tre volte al giorno soprattutto nelle ore in cui sono
i lampioni gli unici occhi a guardarti. Nelle tardi notti, quando i cuori
mettevano da parte i nostri amori, bastava uno sguardo per capire che da li a
poco sarebbe iniziata un’altra serata. Ed era così che ci si trovava da
Fernando, il re della nostra cantina, il nostro esorcista che assisteva alle
nostre pene scivolare su bicchieri d’alcool.
Oltre
ad adularci col suo ottimo vino, riusciva ad allontanarci dal mondo con la sua
musica di sottofondo. Non credevo che queste serate mi potessero portare alla
conoscenza della canzone più orecchiabile di Vinicio “Che cossè l’amor”,
canzone che da lì a poco diventò motivo delle mie giornate in cui fischiettavo
e canticchiavo “…Ahi, permette signorina sono il re della cantina - vampiro
nella vigna sottrattor nella cucina - son monarca e son boemio - se questa è la
miseria mi ci tuffo con dignità da rey…”. L’unico problema era che i miei
capirono effettivamente che mi incominciavano a crescere i denti da vampiro
consolati anche dalle, sempre più frequenti, corse in bagno notturne che
svegliavano anche i più dormienti della famiglia.
Non
avendo ancora ben presente chi mi trovavo di fronte, assaporai solo la primavera
successiva l’album “Live in Volvo” (chiamato così in quanto la sua
macchina era una vecchia Volvo station wagon con cui era solito andare a fare i
concerti). Questo live rivela tutto l’essenziale per riuscire ad apprezzare
Vinicio nella sua originalità. Il cd può essere suddiviso, personalmente, in
due facce quella “Nostalgica-Romantica” e quella “Popolare” che è
più o meno lo schema presentato nei suoi concerti.
Canzoni
come “Una giornata senza pretese”, “Stanco e perduto”, “Estate”, “Cristal”,
“Ultimo amore”, “Scivola vai via” ecc. formano la prima parte del live
in cui le musiche (per lo più accompagnate da pianoforte) esaltano testi senza
dubbio amorosi, uniti ad un pizzico di rancore, che prendono le sembianze di
poesie, folletti pazzi e amori persi diventati nostalgia. Canzoni che ascolto
generalmente nelle mie notti insonnie, nelle quali sono le mie malinconie a
trovar spazio al posto di sogni. Sogni che, di notte, chiedono amore e che
cadono al mattino con la fredda assenza alla sinistra del mio letto.
La
seconda parte, più orecchiabile, è quella di situazioni comuni dove si narrano
nottate (“Al veglione”), atmosfere surreali (“Notte newyorkese”), stati
sociali (“Accolita dei rancorosi”), ore cruciali (“1:35 circa”), strade
uniche (“Contrada Chiavicone”), pugili d’occasione (“Pugile
sentimentale”). Questa è la parte che più prediligo di Vinicio in quanto,
pur essendo lontano miglia dal profumo polveroso della mia terra e dalla
quotidianità di quei luoghi, mi basta chiudere gli occhi e lasciare che il mio
corpo si faccia guidare dai ritmi di queste canzoni, per allontanarmi dal mondo
e sentire il fuoco che mi brucia il sangue, l’anima. Oltre alle musiche,
conduttrici di elettroni nel mio corpo, i testi, se pur cantati in modo veloce e
quindi a primo impatto poco comprensibili, narrano eventi popolari in cui non
importa i nomi dei posti, i momenti in cui vengono vissuti e i perché, in
quanto sicuramente ci siete passati anche voi o, meglio ancora, sarete
protagonisti di questi eventi che una vita sola non basterebbe per apprezzarli
fino in fondo.
Ogni
canzone, come del resto tutte, ha una storia e un momento in cui ascoltarle ma
la cosa che più mi travolge è che ogni qualvolta le sento riesco a provare
nuovi brividi e ad estrapolare sempre nuovi spunti.
Parlando
più in generale, l’album che ha fatto la differenza è quello del 2000
“Canzoni a manovella”. Non esistono paragoni, aggettivi, emozioni per
descrivere queste musiche che fanno della propria forza l’unicità
contraddistinta da strumenti vari e suonati in modo strano, come ad esempio il
theremin e bottiglie in vetro soffiate al loro interno.
Per
quanto riguarda i testi, sono ancora in fase di studio dal sottoscritto per la
loro complessità lessicale oltre ad essere ad alto contenuto culturale.
Nonostante ciò posso affermare che i temi trattati sono quelli di rose gettate
al vento, aerostati, piogge, contratti d’amore, marajà, barche in alto mare.
Per
non arrivare a conclusioni affrettate, vi consiglio di assaporare in un secondo
momento questa opera.
Inoltre
per i più arguti consiglio “Il ballo di San Vito” che contiene l’omonima
canzone oltre a “Morna” una canzone definita di “risacca” dallo stesso
autore.
Se
come me siete stati morsi dalla tarantola e, per il veleno entrato in
circolazione, vi riconoscete nella diagnosi di stato di forte agitazione
psico-motoria seguiti da violente emicranie e rigidità muscolare che dà vita
ad attacchi epilettici, riuscirete sicuramente ad apprezzare “Il ballo di San
Vito” canzone che Vinicio ha dedicato alle terre salentine in seguito alle sue
visite in Puglia.
Si
narra che l’unico antidoto è quello della musica, in genere con gli strumenti
della cetra, del flauto, della tromba e del violino, mediante i quali, se si
trova il tono esatto e la melodia più adatta, egli sarà portato a ballare, a
sudare ed infine alla completa guarigione. A volte lo si dovrà far ballare
ancora l’anno successivo. A questo proposito vi riporto qui una taranta che
afferma quanto detto (vi consiglio di provare a leggere la versione originale
prima di avventurarvi nella traduzione in quanto perdereste l’essenza stessa
della taranta):
U
SANTU PAULU
Lu
Santu Paulu meu te le tarante (Il Santo Paolo mio delle tarante)
ca
pizzichi le fimmine a 'mmenzu l'anche (che pizzichi le donne in mezzo le anche).
Lu
Santu Paulu meu te li scurpiuni (Il Santo Paolo mio degli scorpioni)
ca
pizzichi li masculi a li cuiuni (che pizzichi gli uomini e i coglioni).
Lu
tamburreddrhu meu vinne te Roma (Il tamburello mio viene da Roma)
ca
me la nnuttu nà napulitana (che me lo ha portato una napoletana).
Ballati
caruseddhi a cucchia cucchia (Ballate bambini vicini vicini)
ca
la donna sè luntana l'ommu cucchia (che la donna si allontana e l’uomo si
avvicina).
Ballati
ca tiniti le scarpe nove (Ballate che avete le scarpe nuove)
le
mie su vecchie nu pozzu ballare (le mie sono vecchie non posso ballare).
Beddhu
ci balla moi, beddhu ci balla (Bello chi balla ora bello chi balla)
ca
balla nu cardillu e na colomba (che balla un cardillo e una colomba).
Lassatila
ballare ca è tarantata (Lasciatela ballare che è taranta)
ca
porta na taranta sutta lu pete (che porta una tarantola sotto il piede).
Lu
tamburreddrhu meu vinne te Roma (Il tamburello mio viene da Roma)
cu
rame e senza rame ca sulu sona (col rame e senza il rame da solo suona).
Ci
viti ca se cotula lu pete (Se vedi che il piede penzola)
quiddhu
e lu segnu ca ole ballare (quello e il segno che vuole ballare).
Ci
è taranta lassala ballare (Se è taranta lasciala ballare)
ci
è malincunia cacciala fore (se è malinconia buttala fuori).
Se
siete interessati al salento vi consiglio questo sito www.salentu.com
Sono
al corrente che questa specie di recensione stia diventando ridondante, ma se
siete arrivati a questo punto non posso fare a meno di parlare di altre canzoni
di Vinicio sparse qua e la nelle sue opere registrate in studio.
“Ultimo
amore” fantastica storia d’amore nata per caso tra due persone che,
nonostante momenti splendidi passati insieme, non riescono a coltivare il loro
amore in quanto il passato soccombe le emozioni del presente.
“Il
mio amico ingrato” narra l’amarezza degli amici nei confronti di uno di loro
colpevole di aver trovato l’amore e quindi di sposarsi.
“Cristal”
più che una canzone è una poesia che esprime la pena per una storia d’amore
appena finita e tutte le conseguenze del caso…molto bella per il sottofondo di
una fisarmonica.
“Tornando
a casa” per questa canzone ho deciso di lasciarvi una introduzione fatta ad un
live “…Eccolo guidare e pensare tre se e se… L’ora è tardi, ormai le
prime luci iniziano a indorare, rosseggiare il largo cielo, e lui pensa non e
vero che il mattino che ha l’oro in bocca è l’aurora… Ha fatto un poco di
bisbocce e la vita gli sembra meravigliosa… Si ferma, esce, fa un po’
d’acqua, e contempla mentre viene investito da una zaffata di erba medica… E
così, dà un’occhiata alla volta celeste e si sente un poco astronomo e va
contemplando l’orsa maggiore, quella minore, quella eccedente e quella
diminuita… Avanza anche uno oroscopo e lo trova meraviglioso, ma eccolo che
tra un sagittario, un capricorno e un ariete cade il suo sguardo verso un lume
più forte e più vicino, in un certo senso più familiare, la luce di casa
ancora accesa a quella ora… A questo punto preso da un attimo si sconforto
inizia a invocare un fuso orario per colmare quella distanza continentale tra
lui e la luce di casa…ai vostri tardi rientri a casa”.
“Guiro”
quando la sveglia suona e vi sembra che sia ancora presto, confortati dalle
calde coperte che prendono la forma di affettuosi abbracci, e già pensate alle
vane corse che farete ai vostri appuntamenti, “Guiro” è lo stato in cui vi
trovate.
“Tanco
del murazzo” sottolinea l’esperienza torinese di Vinicio lungo i
“Murazzi” sul Po sottolineando tutto quello che rende vivo quei luoghi.
“Marcia
del Camposanto” una strana storia sul funerale di un uomo, non vi nascondo che
è la morte più onerosa di cui vorrei essere protagonista anche se preferisco
far parte di questa era ancora per un po’.
“La
regina del Florida” donna, ormai non più giovane, al centro delle fantasie di
tutti i frequentatori del locale in cui lavora.
“Morna”
nella notte, lungo la riva del mare, è facile immedesimare, in tutto quello che
accade, lamenti, tristezze, voci che sembrano ormai perse nelle onde e nel
vento. Canzone di risacca che ha posto nei momenti di solitudine e di scavo
interiore, una buona canzone per vomitare amori, trasformati in dolori, e
gettarli via al vento provando, per un attimo, un senso di liberazione.
“Con
una rosa” personalmente nessun omaggio, se non quello floreale accompagnato da
un bel bigliettino, riesce a materializzare un sentimento verso una donna. Dal
fioraio, mi capita spesso di essere sempre un po’ imbarazzato nel momento
della scelta di una rosa: “Bianca come le nuvole di lontano”, “Gialla come
la febbre che mi consuma”, “Rosa come l’attesa che sulle labbra pesa” o
“Rossa come lacrime e vino versate nel cammino”. Questa canzone mi ha
aiutato (“…quella che duri più dell’amor per sé…”), anche se sarei
tentato di regalare quelle in plastica augurandomi che non siano degradabili.
“L’accolita
dei rancorosi” quello dei “rancorosi” è uno stato sociale a cui nessuno
farebbe piacere appartenere: persi nella vita come dentro una corrida, incazzosi
dentro casa, compagnoni fuori in strada, si intendono solo fra loro, sparagnini
con la prole, spendaccioni con le troie, demoni rapaci, sputan sulla terra dove
andranno sottoterra.
“Notte
newyorkese” tipica notte a New York di un emigrante italiano che racconta
tutta l’atmosfera in questa grande città. Prende molto il ritmo Jazz
soprattutto nei live.
“Contrada
chiavicone” in questa contrada si arriva sbagliando strada e perdendo gli
appuntamenti. Qui si allevano i toponi da pelliccia, la miseria è fertilizzante
e si fanno grossi falò per bruciare le proprie vanità. Ritornello: “mamma
mia, mamma mia - s'è smarrita la via - pensa a me, pensa a me - qui perduto per
via - solo chi cade offre la vista edificante - di rialzare il capo dal fondale
sottostante”.
“Al
veglione” non c’è migliore nottata per aspettare l’anno nuovo, le scene
raccontate sono molto buffe ma tutte al quanto plausibili. Essendo al corrente
che le mie parole non rendono bene l’idea, vi riporto una strofa: “…Mastro
Sentimento s'è bevuto - quarantatré Peroni - pesta l'orlo dei pantaloni -
mentre lo invocano a battimani - attacca lo strumento e suda - stacca, sbocca
poi si asciuga - si sfinisce si prosciuga - cade urlando all'incontrè - e
mentre muore in canottiera - si butta sulla cameriera - schiocca la lingua e se
l'abbraccia - faccia a faccia nell'amor.”
“Il
pugile sentimentale” un match pugilistico che mi ha insegnato a vivere:
“…La vita è proprio OKAY - lui dice, e pensa un po' - sarà OKAPPA per
qualcuno - per gli altri è KAPPAO’…”
Svelarvi
i segreti di altre canzoni credo che appassisca ogni vostra minima curiosità,
quindi mi fermo qui augurandomi che questo mio lavoro non contribuisca al vostro
pisolino quotidiano, ma che anzi sia stato un buon input per apprezzare in
futuro questo autore.
A
tal proposito vi lascio un link in cui potete saperne di più http://www.rancorosi.com/nuovosito/biografia.asp
Inoltre visitando il sito potreste trovare cose interessanti tipo il forum, di
cui faccio parte, e il Baule in cui si possono scaricare live, non ufficiali,
previa iscrizione al sito stesso.
Come
da copione siamo arrivati al termine (un dispiacere per qualcuno, una gioia per
la maggior parte) e non mi resta altro che dedicare e ringraziare:
1)
chi mi ha dato la possibilità di poter “decervellarmi” un po’ davanti al
computer facendomi distaccare per un momento dai libri;
2)
mio fratello e mia cognata (Francesco ed Elisabetta) per essermi sempre vicini,
moralmente ed affettuosamente, nonostante avvolte i miei atteggiamenti non lo
meriterebbero;
3)
i miei genitori che ogni giorno mi fanno vivere un sogno pur essendo al corrente
che lo stesso forse non si verificherà.
Inoltre
ringrazio con affetto e gioia tutti coloro che, giorno per giorno, stanno
imparando a conoscermi, e forse ad apprezzarmi confessandovi che è grazie a
loro se ho ritrovato il Barrio “…il posto dove mi sentirò uno di voi e le
vostre voci lontane saranno musica per il mio cuor, in modo che se fossi nel mio
Barrio, avrei spalle su cui appoggiar le mani e orecchie a cui confessare e
case, lumi e stelle che dall’alto, sul tetto della casa dei miei vecchi, mi
direbbero fermati qua…”.
Nonostante
la mia voglia di riempire questa pagina ancora un po’, come un modo per
colmare gli spazzi vuoti del mio cuor, vi lascio con un avvertimento “…fate
attenzione a quello che desiderate, capace che poi magari si avvera…”.
All’incontrè
Angelo
Lenti
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